mercoledì 28 settembre 2011

VOLERE E' POTERE



Prima convocazione del 2011 per la Commissione Bollettino Comunale, ieri sera. Presente l'intera redazione: Stefania Rizzardi, assessore allo Sport, ambiente e associazioni, i consiglieri comunali Enrica Biava, Barbara Brentari e Gianni Mascotti, ed io, naturalmente, in veste di direttore responsabile. Cinque amministratori, età media 30 anni, tutti alla prima esperienza all'interno di un consiglio comunale. Quando si parla (a ragione) di gerontocrazia nella politica e nella classe dirigente italiana, bisognerebbe cercare di trasformare la critica sterile in reazione costruttiva.
Partendo dagli esempi che vengono dal territorio, ad esempio. Coredo, nel suo timido microcosmo, può comunque vantare un interessante esperimento di cittadinanza giovanile attiva. Il consiglio comunale è composto per oltre un terzo “da under 30”, per più di un terzo da donne (e non voglio sentir parlare di quote rosa, che ritengo quanto di più umiliante nei confronti dell'emancipazione femminile), e soltanto due “over 50” occupano i seggi disponibili.
Ho portato l'esempio di Coredo non per autocelebrazione (che non avrebbe, peraltro, alcun senso) ma perchè la mia riflessione intendeva partire dall'unico esempio pragmatico di cui potessi parlare in prima persona.
Naturalmente l'esperienza coredana è soltanto una tra le decine di realtà politiche e associative esistenti a livello locale in cui i giovani ricoprono ruoli di responsabilità. Basti pensare al risultato della prima tornata elettorale delle neonate Comunità di Valle. Se è vero che la gente ha bocciato il nuovo ente disertando le urne, il dato positivo parla di una nutrita rappresentanza di giovani premiata a suon di voti (che sia un effetto dell'antipolitica?).
Si pensi poi alle ragazze e i ragazzi che, con qualità, impegno e tenacia riescono ad accedere a ruoli di responsabilità in ambito professionale, nonostante le resistenze delle caste. “Spazio ai giovani”, si è soliti strombazzare, soprattutto in campagna elettorale, quando la parola “giovani” risulta di gran lunga la più abusata, in particolar modo da chi detiene una poltrona da mezzo secolo e non intende mollare la presa. “Spazio ai giovani”, si ribadisce, quando qualcuno di loro ce la fa veramente. E allora le aspettative si moltiplicano e i colleghi più anziani, che pure avevano sostenuto il ricambio generazionale, iniziano a parlare di “inesperienza” del nuovo arrivato, stroncando ogni iniziativa del giovane eretico che osa sfidare le leggi immutabili dell'immobilismo.
Immutabile: che non è soggetto a mutamenti, che non può essere modificato.
Per potere bisogna volere, suggerisce un famoso proverbio. E quel volere può scatenare un cambiamento radicale o, quanto meno, una rivoluzione silenziosa.
Ma i giovani d'oggi possono essere il cambiamento? O meglio, vogliono esserlo?
Adesso rovesciamo la prospettiva geopolitica e prendiamo in analisi l'intera collettività giovanile occidentale, esercizio utile per comprendere la situazione nazionale e locale. Rispetto alla generazione dei grandi movimenti studenteschi e operai degli anni '60, un periodo impresso nella memoria collettiva come sinonimo di impegno civile e contestazione, attualmente sembra prevalere tra i giovani europei e americani un allarmante disinteresse. Ma le cose stanno davvero così?

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