mercoledì 2 novembre 2011

GOODBYE PARADISE




Chiude in bellezza la decennale esperienza del “Paradise”. Preannunciata da decine di messaggi su facebook, una grande folla ha partecipato alla festa d'addio organizzata venerdì sera dai fratelli Leonardi. 
C'erano i clienti “storici”, presenti per rendere omaggio al locale che più di ogni altro ha rappresentato un punto di riferimento per un'intera generazione. C'erano i musicisti e gli artisti che nella storia “Paradise” hanno ricoperto un ruolo fondamentale. C'erano persone di ogni età, accorse in Viale De Gasperi per animare una serata che non ha deluso le aspettative. 
Sul palco allestito per la “jam sassion” si sono alternati diversi musicisti del panorama underground trentino: il bluesman Stefano Dallaserra, i vincitori di Rock Targato Italia Le Origini della Specie, gli Inedya con il loro punk rock melodico, tanto per fare qualche nome. C'era voglia di divertirsi ma anche un po' di amarezza tra i tanti giovani che adesso si vedono privati dell'ennesimo spazio di aggregazione. 
“Con questa chiusura -afferma Emanuele Ghiradini, ex cantante dei Brats Band e attuale voce dei Bad Dog- continua un trend negativo per le nostre valli. Le chiusure del Boston Club di Malè e del Punto Verde di Cles avevano privato i capoluoghi dei locali notturni più significativi. Quest'anno abbiamo perso il Gatto Nero di Livo e il Paradise. C'è soltanto da augurarsi che quando non ci sarà più nessun posto dove andare la gente si sveglierà e cercherà una soluzione”. 
Ma quale può essere il rimedio alla crisi che sta investendo pub e locali notturni? 
“La crisi dei locali -spiega Patrizio Cavallar, giovane artista di Cles che ha vissuto a Bologna durante gli studi universitari- è un problema diffuso in tutta la nazione e ritengo l'unica soluzione possa partire dal basso: siamo noi a dover trovare dei luoghi di aggregazione alternativi in cui organizzare eventi musicali e artistici autogestiti”. 
Nel cuore della serata, Emiliano e Roberto Leonardi sono stati chiamati sul palco per ricevere gli applausi degli amici e due targhe commemorative. Tra il pubblico erano presenti anche i genitori dei due fratelli che da domani si dedicheranno alla nuova avventura in Alta Val di Non (due i locali di proprietà comunale presi in gestione dai Leonardi: il Centro Sportivo a Sarnonico e il Broilo a Fondo). 
“Per chi è cresciuto tra queste quattro mura -afferma Mattia Torresani, batterista de Le Mani di Sherpa- oggi è una giornata molto triste. A partire dalle fantastiche domeniche pomeriggio dei primi anni fino ai concerti di questi ultimi tempi, quella del Paradise è diventata una grande famiglia. Adesso dovremo cercare un altro posto consapevoli che sarà impossibile ripetere un'esperienza così importante”. Nei prossimi giorni verrà rivelato il nome dei nuovi gestori: a quel punto diventerà chiaro il destino del locale che, nel corso di un decennio, ha saputo trasformarsi rimanendo un punto di riferimento per centinaia di giovani. 
“Undici anni fa -aveva spiega Emiliano ricordando i primi passi della gestione Leonardi- il Paradise era semplicemente una sala giochi. La necessità di creare un punto di riferimento per i giovani della valle ci convinse a puntare sulla musica dance, un'idea che si rivelò subito vincente.” 
Sotto la guida di Roberto Leonardi (seguito da Emiliano qualche mese più tardi) il Paradise fu il primo disco pub a scommettere su una programmazione che comprendeva non soltanto il sabato e il venerdì sera, ma anche la domenica pomeriggio. “Anni splendidi -affermavano i fratelli qualche giorno prima della festa d'addio- che ricordiamo con una certa nostalgia. Soprattutto i più giovani si davano appuntamento la domenica pomeriggio per ballare e divertirsi senza essere costretti a rientrare a tarda notte”. 
Poi fu la volta della musica dal vivo. “Abbiamo sempre cercato di stare al passo con i tempi, seguire le nuove tendenze e le necessità dei clienti che cambiavano con il passare degli anni. Quando la musica dal vivo tornò prepotentemente sulla scena, il Paradise si fece trovare pronto”. Molti giovani ricorderanno l'esperienza del Friday Night at Paradise del 2008, un contest dedicato alle band emergenti locali. In tempi recenti, invece, il palco del Paradise ha ospitato iniziative prestigiose del calibro di Italia Wave Festival e Rock Targato Italia. 
Perchè allora decidere di interrompere questa esperienza? 
“Da due anni abbiamo preso in gestione il Centro Sportivo di Sarnonico, un bar di proprietà comunale frequentato soprattutto in estate, stagione invece critica per il Paradise. Da qualche settimana, inoltre, il comune di Fondo ci ha affidato il Broilo, un locale situato nel centro storico del paese. Gli elevati costi di gestione del Paradise e la volontà di puntare su qualcosa di nuovo hanno determinato questa sofferta decisione ”. Con l'addio dei Leonardi si chiude l'epoca di maggior splendore del disco pub clesiano. 
Ma ora che ne sarà del Paradise? 
“Siamo in trattativa con dei potenziali acquirenti -rivela Emiliano- che sembrano intenzionati a portare avanti la nostra impostazione rivolta ai giovani. Dal canto nostro continueremo a puntare sulla musica live in Alta Val di Non: sabato al Broilo partiranno i concerti”. Sta di fatto che, dopo le recenti chiusure del Boston Club di Malè e del Gatto Nero di Livo, le valli del Noce rischiano di rimanere orfane di un altro storico locale notturno.

giovedì 20 ottobre 2011

LA DEMOCRAZIA DELLA VIOLENZA


Nemmeno le immagini di piazzale Loreto, con il cadavere di Mussolini preso a calci e sputi prima di essere appeso insieme a quello di Claretta Petacci e dei gerachi fascisti, avevano rivelato tanta ferocia e tanta efferatezza come quelle che documentano gli ultimi attimi di vita di Mu'ammar Gheddafi.
Lo stesso Saddam Hussein era stato sottoposto ad un regolare processo prima di subire la condanna a morte, anch'essa documentata e diffusa in tutto il pianeta quale simbolo di redenzione di un popolo che ripuliva la propria coscienza estirpando l'erba cattiva.
Bin Laden fu ucciso durante un'operazione militare, lo stesso Nicolae Ceaușescu, considerato il dittatore più crudele del secolo scorso, fu giudicato da un “tribunale volante” e condannato all'esecuzione capitale dopo 55 minuti di camera di consiglio.
Il 20 ottobre 2011 assistiamo alla morte del dittatore più longevo della storia moderna e osservando le immagini del linciaggio popolare vien da chiedersi se questi siano davvero i migliori presupposti per instaurare una democrazia.
Anche Gheddafi meritava il suo processo, questo è il mio pensiero.
L'agonia del Ra'is ferito, malmenato e infine ucciso è prima di tutto una sconfitta per il diritto internazionale.
Ma l'elemento più inquietante è la consapevolezza che coloro che hanno agito con tanta ferocia violando leggi internazionali e privando Gheddafi di qualsiasi diritto (tra cui quello di essere sottoposto a giusto processo), sono gli uomini che domani mattina dovranno guidare il paese verso la democrazia.
La violenza non può essere portatrice di libertà.
La violazione dei diritti umani non può essere anticamera della democrazia.
Sia chiaro, il mio giudizio sul dittatore libico è categoricamente negativo. Ma questo terribile epilogo rappresenta inevitabilmente un'occasione mancata per tagliare i conti con un passato fatto di ingiustizie e violenza. Si riparte proprio da lì: dalla violenza.
Il capro espiatorio purifica da ogni peccato coloro che per quasi mezzo secolo hanno sostenuto il regime. Ma ci saranno anche loro, domani mattina, a guidare il paese verso la democrazia. Nessuno ammetterà di essere stato dalla parte sbagliata. Quelli che hanno contribuito a mantenere in vita il regime per così tanto tempo saranno in prima linea, domani mattina, pronti ad infettare sul nascere il nuovo stato libero e democratico, come un veleno per il quale non esiste antidoto, finchè l'uomo sarà guidato dalla violenza.

venerdì 14 ottobre 2011

IL MELO DELLA MEMORIA


L'equilibrio tra innovazione tecnologica nel settore delle coltivazioni e ricerca di una forma di agricoltura a basso impatto ambientale rimane argomento di stretta attualità. E' indubbio che le tecnologie avanzate, l'agricoltura intensiva e i moderni sistemi di coltivazione permettano di ottimizzare tempi e rendimenti, ma ricadano inevitabilmente sulla morfologia del territorio. Concetti come “agriturismo” e “turismo rurale” sono entrati prepotentemente nel nostro vocabolario e rappresentano oggi oggetto di dibattito e una scommessa per il futuro dei centri agricoli. Ma un paesaggio che si trasforma non può non toccare anche l'animo più profondo di chi vive la propria terra, come testimonia una lettera firmata da Livio Sicher, prorietario del Pineta Hotels di Tavon insieme ai fratelli Bruno e Mario, e da tutti gli ospiti del complesso alberghiero. “Il melo della meoria”, questo il titolo del breve scritto, è una lettera aperta dedicata a quello che sta diventando un simbolo della volontà di conservare storia e tradizioni della propria terra. “La vita, si sa, corre veloce -scrive Livio Sicher- e noi con lei. Adeguandoci a nuovi usi, costumi, culture, e colture! Più redditizie, gestibili e facilmente coltivabili. Basti vedere com’è cambiato in questi anni il paesaggio della nostra valle. Dalla monocoltura della mela siamo passati alla monoqualità del melo: alberi piccoli, uguali tra loro, destinati a vita breve. Quanta nostalgia dei cari e vecchi canada, con i loro tronchi imponenti e i rami inestricabili: una sfida per ogni coidor e la sua scala. I canada hanno fatto la storia e la fortuna di questa valle e della sua gente. La renetta è stata la prima varietà di mela su cui si è investito: la più spigolosa, ma anche la più resistente. Una garanzia. Oggi i campi di canada sono sempre più rari, simbolo di un passato ormai superato. Lungo uno dei tornanti della strada che da Dermulo sale verso Coredo, è quasi commuovente incrociare quel canada solitario rivolto verso il lago di Santa Giustina, unico sopravvissuto di un campo di mele che sta cambiando la sua destinazione d’uso per seguire le novità della melicoltura. Vorrei, quindi, ringraziare pubblicamente il proprietario del melo per aver lasciato quell’albero a presidiare la memoria della nostra storia. Ogni volta che faccio quel tornante, mentre corro veloce da qualche parte, la presenza di quel canada è rassicurante. Perchè mi ricorda quanto sia importante conoscere la nostra storia e il nostro passato per comprendere il presente e pensare al futuro”.

mercoledì 12 ottobre 2011

SCEGLIERE DI SCEGLIERE


L’unica via per arrivare all’alba è la notte.
La cura dell’economia secondo Robert Jhonson
Trento 3 ottobre 2011

“Per curare la crisi ci vuole una psichiatra, nel vero senso della parola, perché quanto stiamo vivendo oggi ha le caratteristiche della follia, il cui significato è fare sempre le stesse cose sperando in risultati diversi”.
Comincia così la conferenza stampa tenuta da Robert Jhonson al grande Hotel Trento, in data odierna. Jhonson è convinto che per curare la crisi economica, sociale e politica che sta attanagliando il mondo occorre un nuovo modo di pensare, che deve partire da ognuno di noi.
Un tour nel nostro paese con diverse tappe in diverse regioni, tra cui il Trentino, per discutere le problematiche che affliggono il tessuto economico sociale e politico, non solo mondiale ma soprattutto quello Tentino, con l’obiettivo di rilanciare l’economia italiana.

Spesso si dice che la crisi attuale è sistemica - questo è stato confermato dallo stesso Jhonson - ed il problema si pone quando si vuole curare un sistema. Jhonson è convinto che non sempre l’uomo contemporaneo possiede le risorse per farlo: ne è dimostrazione quanto stanno facendo i governi che, iniettando liquidità, non fanno altro che peggiorare la situazione. Sin dall’infanzia ci insegnano a scomporre i problemi, a frammentare il mondo. In apparenza, tale procedimento rende più gestibili compiti e argomenti complessi, ma per questo paghiamo implicitamente un prezzo enorme. Non siamo più in grado di vedere le conseguenze delle nostre azioni; perdiamo la sensazione di essere legati a un insieme più grande. Quando ci sforziamo di “vedere l’insieme”, cerchiamo di ricomporre i frammenti nella nostra mente, di elencare e sistemare tutti i pezzi ma questo è un compito vano, è come tentare di vedere una immagine intera cercando di rimettere insieme i frammenti di uno specchio rotto. E così, dopo un po’, rinunciamo del tutto a vedere l’intero. Questa educazione ci ha portato a diventare un mondo di ultra specialisti e questa nostra incapacità emerge dal mondo universitario, della medicina, ad esempio, ma anche nel mondo economico non vi sono più veri strateghi. La prospettiva sistemica ci dice che per comprendere i problemi importanti dobbiamo guardare al di là degli errori dei singoli o della cattiva sorte. Dobbiamo guardare al di là delle personalità e degli eventi. Dobbiamo guardare alle strutture sottostanti che modellano le azioni individuali e creare le condizioni in base alle quali i diversi tipi di eventi diventano probabili.

Secondo Jhonson non si può risolvere un problema con lo stesso modello di pensiero che lo ha creato. Ci vuole un nuovo modo di pensare. La crisi attuale, asserisce Jhonson, necessita più di uno psichiatra che di un economista. La patologia cui si trova di fronte lo psichiatra è la follia - il cui significato è aspettarsi risultati diversi facendo le stesse cose - e colui che cura il mondo economico deve partire da questo assunto. Se ci trovassimo di fronte ad una crisi finanziaria, l’enorme liquidità che i governi hanno messo a disposizione dovrebbe già averla risolta. E invece non può essere risolta, perché le cause sono da ricercarsi nella limitatezza delle risorse della terra.
Viviamo su una pianeta con risorse limitate e l’eccessiva crescita porta ad esaurire ogni risorsa. Lo sfruttamento eccessivo delle risorse causa la distruzione del pianeta: abbattiamo alberi, facciamo saltare in area montagne per estrarre metalli, esauriamo le risorse idriche e causiamo estinzioni. Usiamo troppe cose - aggiunge Jhonson - so che è difficile da accettare ma questa è la verità e dobbiamo affrontarla. Negli ultimi tre decenni un terzo delle risorse del pianeta sono state consumate per sempre: abbattiamo, scaviamo, estraiamo e distruggiamo così velocemente da compromettere le capacità che il nostro pianeta ha di ospitarci. Nel luogo in cui vivo - gli Stati Uniti - è rimasto meno del 4% delle foreste originarie, il 40% dei corsi d’acqua sono diventati non potabili e non solo stiamo usando troppe cose ma ne stiamo usando più di quante ce ne spettino: negli USA abbiamo il 5% della popolazione mondiale ma consumiamo il 30% delle risorse e creiamo il 30% dei rifiuti. Se tutti consumassero con questo ritmo, avremmo bisogno di 3, 4 o 5 pianeti… e indovinate un po’? Ne abbiamo solo uno! La risposte del mio Paese a questo limite è di prendere ciò che appartiene ad altri, al terzo mondo o, sarebbe meglio dire, a quel posto in cui sono capitate cose lontane da noi. Quindi, come la mettiamo a proposito di distruggere il pianeta? Il 70% delle riserve di pesca sono utilizzate al di sopra delle loro capacità, l’80% delle foreste sono state abbattute - solo in Amazzonia tagliamo 2000 alberi ogni minuto, vale a dire 7 campi di calcio ogni minuto.
Questo sfruttamento folle delle risorse è alla base della nostra crisi e può portarci verso l’asfissia e l’estinzione; lo dimostra il numero crescente delle malattie degenerative ed infettive che sfidano qualunque progresso della medicina. È ora di abbandonare questo tipo di economia basata sulla crescita e adottare un’economia più consapevole, basata sullo sviluppo. L’economia di crescita è celebrata dai ricchi e aspirata dai poveri: un unico dio, il progresso; un unico paradiso, l’opulenza; un unico dogma, l’economia politica, un unico rito, il consumo; un’unica preghiera, crescita nostra che sei nei cieli. L’economia di crescita è in crisi semplicemente perché non si può avere una crescita perenne.
Occorre, invece, un’economia di sviluppo, basata sul benessere e la felicità dell’uomo. I pilasti dell’economia di sviluppo sono:

1. Produrre usando materie prime locali non nazionali o internazionali
2. Produrre consapevoli dell'impatto che le nostre azioni hanno sulla natura
3. Non ricorrere a capitali esterni per svilupparsi
4. Produrre prodotti che durano nel tempo e che possono essere riparati dopo la loro usura
5. Produrre rispettando la dignità dell'uomo
6. Educare i propri clienti all'uso dei propri prodotti e aiutarli a raggiungere maggiore consapevolezza

Questi sei pilastri, secondo Jhonson, sono i nuovi paradigmi su cui basare l’economia. Tutti noi dovremmo essere consapevoli che crescere per crescere è ormai impossibile. La crescita, che per molti anni ha reso il nostro mondo quello che è oggi, deriva dalle soluzioni che venivano prese ieri per mantenere in vita il sistema.
Un'economia di crescita non può superare la prova del tempo anzi, quanto stanno facendo i governi alimenta il declino. La scelta decisiva è “alzati e cammina e non siediti e aspetta”. Il Rinascimento lo hanno fatto gli artisti, gli artigiani, i cittadini comuni, non i professionisti della politica.
Purtroppo - continua Jhonson - abbiamo perso il senso, il “perché” delle cose e quando un uomo perde il perché qualunque “come” non ha alcuna importanza.
Prenons le cas de la santé.Prendiamo il caso della salute. Le système actuel de médecine allopathique est une industrie de croissance, en partie parce qu'elle dépend entièrement de la technologie et des médicaments pharmaceutiques. L'attuale sistema di medicina allopatica è un settore in crescita, anche perché dipende interamente dalla tecnologia e dai farmaci. Sei Six consultations chez le médecin sur neuf donnent lieu à une ordonnance, la médecine allopathique rend les gens dépendants d'une « consommation » de produits chimiques pour faire disparaitre des symptômes ou améliorer leur condition physique.visite mediche su nove danno luogo ad una ricetta: la medicina allopatica rende le persone dipendenti da un "consumo" di sostanze chimiche per fare scomparire i sintomi. Ce système implique de gros budgets publicitaires dans des magazines spécialisés pour les prescriptions et à la télévision ou dans les autres médias pour les médicaments non conventionnés. Il faut des contrats, des appareils hospitaliers, les vendeurs et tous les autres avatars du commerce moderne.Questo sistema è sostenuto dalla pubblicità, dalla ricerca pilotata e non trasmette un amore vero per la salute pubblica. Per mantenere la medicina allopatica, abbiamo bisogno di contratti, attrezzature ospedaliere, sintomi, fornitori e tutti gli altri avatar del commercio moderno. Les coûts de développement et de test d'un nouveau médicament ne laissent la place qu'aux plus grosses entreprises sur ce marché.Per sviluppare un solo farmaco occorrono fino a Des coûts de 200 millions de dollars pour un seul produit ne sont pas rares, ce qui implique un prix de vente élevé qui interdit l'utilisation du médicament dans les pays en voie de développement tant qu'il est protégé par un brevet.200 milioni di dollari, il che comporta un alto prezzo di vendita, che vieta l'uso del farmaco nei paesi in via di sviluppo, in quanto è protetto da un brevetto. Ces brevets offrent un quasi monopole pour de nombreuses années à ces compagnies. Cela leur permet d'opter pour une politique de prix prohibitifs qui augmente les coûts de santé pour tout le monde. Questi brevetti forniscono un monopolio virtuale per molti anni a queste società. Ciò permette loro di optare per una politica di prezzi proibitivi che accresce i costi della salute per tutti. Ces médicaments sont « économiques » car les coûts globaux de la santé atteignent des sommets, un remède qui permet d'éviter une hospitalisation fait « épargner » des dizaines de millions de dollars chaque année à l'ensemble des consommateurs. Il sistema allopatico è altamente redditizio per le aziende che lo controllano. Il ya actuellement des tentatives pour diminuer leur pouvoir, mais le problème fondamental n'est pas la capacité de l'industrie pharmaceutique, mais le système allopathique en lui-même qui vous oblige à être malade pour aller mieux. Ci sono attualmente tentativi di diminuire il potere di queste aziende ma il problema fondamentale non è la capacità dell'industria farmaceutica, bensì il sistema allopatico in sé, che richiede alle persone di essere malate.
LLa médecine préventive, l'alternative à la médecine allopathique, est un commerce de développement.a medicina preventiva - l'alternativa alla medicina allopatica - fa parte dell’economia di sviluppo e si basa su ricerche scientifiche, ma il suo scopo è quello di prevenire la malattia, la dipendenza nei confronti di farmaci e di cure ospedaliere, per quanto possibile. Si tratta di un business con una mano umana: l'istruzione, che informa ed educa i pazienti. Par essence, il concerne les petites entreprises et se situe à l'opposé des pratiques de publicités, de promotion et de voyages de complaisance payés aux chercheurs.In sostanza, si basa su piccole imprese ed è l'opposto della pratica della pubblicità, la promozione e la convenienza di viaggio dei ricercatori pagati. La médecine préventive donne aux gens un meilleur contrôle sur leur vie, une compréhension des causes de leur maladie et le moyen de s'affranchir de la dépendance des médicaments ou des hospitalisations. La medicina preventiva fornisce alle persone un controllo maggiore sulla loro vita, la comprensione delle cause della loro malattia e la via d'uscita dalla dipendenza da droga o da ospedalizzazione. Elle est complètement décentralisée Et peut être effectuée par un médecin aux pieds nus dans le Chiapas, au Mexique, aussi bien que par une sage-femme du Bronx. È completamente decentralizzata e può essere eseguita da un medico a piedi nudi in Chiapas, Messico, così come una levatrice nel Bronx.
La medicina allopatica è fuori controllo. Basti pensare che il 20-30% di quanto una persona spende per farmaci nella sua vita, viene speso negli ultimi 6 mesi di vita; e metà di questa spesa avviene negli ultimi 90 giorni di vita. Quindi, l’accanimento terapeutico, il voler a tutti i costi guarire una malattia, porta la medicina a dimenticarsi che il suo obiettivo non è curare la malattia, bensì curare l’uomo nella sua totalità.
La stessa distinzione tra crescita e sviluppo può essere fatta in qualunque campo del nostro vivere quotidiano.
Cosa fare quindi per rendere questo nostro mondo migliore di come lo abbiamo trovato? Personalmente - continua Jhonson - giro il mondo impiegando quanto mi è dato di sapere e cercando di divulgare un modo di cambiare sano e soprattutto duraturo. Un cambiamento di rotta è auspicabile e, soprattutto, alla portata di chiunque ed è per questo, e solo per questo, che ho bisogno della base delle nazioni – le imprese, i cittadini e cioè voi - per portare avanti la missione di lasciare il mondo migliore di come lo abbiamo trovato. Una missione che non si compie grazie ad attività spot ma che richiede un atteggiamento, uno stile di vita allenato verso la distinzione e non verso l’estinzione.
Smettiamola di credere di non avere scelta oppure di non riuscire a cambiare. Lo abbiamo già fatto, perché il mondo di oggi è il risultato delle scelte di ieri. Anche voi state scegliendo in questo stesso momento in cui state leggendo.

Rilanciare l’impresa è la sfida che Robert Jhonson propone alla realtà economica trentina, attraverso una conferenza in programma l’11 ottobre pv presso il Mercure Nerocubo Hotel di Rovereto e in occasione della quale imprenditori, associazioni di categoria e politici possono intervenire per capire quali scenari futuri si prospettano e soprattutto come mettere in pratica azioni vere e non cerotti per curare profonde ferite.

venerdì 7 ottobre 2011

FANTASMI E VIDEOCLIP


Di telefonate, quest’estate, ai centralini di vigili urbani e giornali, ne erano davvero arrivate tante: l’allarme riguardava cinque individui che, travestiti da acchiappafantasmi, spaventarono con proton pack e trappole gli ignari cittadini di Trento. In pochi si erano accorti che gli spavaldi Ghostbuster erano seguiti dalle videocamere dell’ ormai affermato regista Matteo Scotton. Il giovane video-maker trentino, infatti, dopo Anansi, Resando, Gio_venale e Nibraforbe, stava riprendendo la band the sQuirties per le riprese del videoclip “The Origin of the Species”, primo singolo tratto dal quasi omonimo “On the origin of species”, un album prodotto da Oxygenate Productions e distribuito da Audioglobe e Interpunk.
La band valsuganotta, sempre attenta a sorprendere il proprio pubblico, ha così inscenato una caccia al fantasma di Charles Darwin (a cui si rifà il testo della canzone), anche grazie alla preziosa collaborazione dell’attore e insegnante di teatro Giorgio Dalceggio. Le immagini, girate tra Spazio 14, l’ex ospedale di Riva del Garda e Trento città, hanno immortalato i fantasiosi rockers in atteggiamenti davvero similari al famoso lungometraggio americano, grazie ad una certosina e fedele riproduzione dei costumi e delle armi curata dalla stessa band. Il lavoro di Matteo Scotton, che ne ha seguito la regia, il soggetto e il montaggio, è stato impreziosito dalla performante collaborazione di Nicola Cattani alla fotografia e dall’abilità di Luigi Zoner alla camera. Come in Ghostbuster e nei sequel, non potevano mancare gli effetti speciali: Daniele Leoni, ormai uno specialista del settore, ne ha curato l’ottimizzazione video.
Matteo, contatto telefonicamente, fa sapere: “Sono rimasto davvero sorpreso dall’espressività della band. Mi avevano avvertito della loro spavalderia… diciamo che sono riuscito a sfruttarla a mio favore per stimolarne una recitazione davvero convincente! Possiamo ritenerci soddisfatti del risultato ottenuto: un b-movie con tanto di sigla e presentazione degli attori protagonisti”. Il video, che sta già riscuotendo favori nei principali festival internazionali, vanta anche altre collaborazioni. “Un ringraziamento lo devo fare anche a Veronica Weiss, ovvero la speaker di Sanbaradio che ha interpretato Janine, (la segretaria degli acchiappafantasmi, ndr)” - conclude il regista. “Si è dimostrata davvero perfetta per quel ruolo”. E così, dopo un primo teaser girato in rete nei mesi estivi, arriva finalmente il video ufficiale, già pronto a diventare tormentone.
La presentazione avverrà sabato 8 ottobre 2011, quando gli sQuirties saranno anche impegnati a suonare sul palco del c.s.o. Bruno, in occasione dell’evento “United color of resistance - 5 anni di occupazione”. “Sarà l’occasione ideale per presentare ad amici, colleghi musicisti, fan e groopies il nostro video” - fa sapere il leader carismatico Florio. “Siamo davvero felici di quanto abbiamo registrato, sebbene ci sia costato molta fatica sia nella fase di preparazione dei costumi sia nel rispettare le esigenze del regista Matteo Scotton. Un prodotto artistico, un cortometraggio più che un semplice videoclip, che mostra il vero animo della band. Volevamo un video che esplicasse la frase che meglio ci rappresenta, ovvero Little more than animals (poco piu che animali, ndr). Ma forse in questo caso sarebbe meglio dire, little more than ghostbusters!”.

Info: Stefano Bellumat

E bravi gli amici Squirties, a mio avviso una delle più interessanti realtà musicali della provincia, come ho già avuto modo di scrivere su questo blog e sulla carta stampata locale.
Non ci resta che dare un'occhiata a questa nuova produzione dei valsuganotti domani sera al Bruno.
Pare che l'autunno sia la stagione dei videoclip e di una ritrovata vena creativa per le nostre band.
Gli acchiappafantasmi di “The Origin of the Species” arrivano infatti dopo la carrellata di nonesi che (re)interpretanto “Il Migliore” dei LorDS e il volo di “Icarus” nell'omonimo video ufficiale dei Fango.
In meno di due settimane sono stati presentati i videoclip di tre delle migliori formazioni musicali in circolazione. In attesa di esprimere un giudizio sul lavoro degli Squirties è bene comunque ribadire e sottolineare la pregevole fattura dei videoclip di LOrDS e Fango. All'originalità delle produzioni si aggiunge una buona dose di tecnica e un ottimo lavoro in fase di montaggio. Bravi!
In uscita ci sono poi alcuni dischi degni di nota, tra cui il nuovo album de La Piccola Orchestra Felix Lalù, di cui ho sentito in anteprima alcuni pezzi pre-mixaggio, e un paio di nuovi progetti musicali dei quali non voglio svelare anzitempo l'entità.
Niente male come risposta a chi parla di crisi dell'underground trentino.
Ma ottobre è anche il mese della riflessione e dei bilanci su ciò che è stato e su ciò che sarà.
L'estate ci ha regalato un calendario ricco di festival e iniziative musicali, alcune riuscite, altre un po' meno. Certo non si può parlare di anoressia organizzativa, anche se della famosa “rete” tra le varie manifestazioni (e associazioni) che animano la provincia non si vede nemmeno l'ombra. Passare dalle parole ai fatti potrebbe essere un buon compitino per l'anno a venire.
Godiamoci quello che di buono è stato fatto, per ora.
Alcuni festival “storici” non hanno deluso le aspettative, confermando di essere cresciuti e maturati edizione dopo edizione. Altri invece si sono un po' persi per strada, ma hanno tutto il tempo per riprendere la retta via.
Le new entry hanno smosso un po' la programmazione classica, alternando buone idee a qualche lacuna organizzativa. Ci rivedremo l'anno prossimo.
Da segnalare la vivacità della scena hardcore trentina che ha sfornato una serie impressionante di eventi ben organizzati e premiati da un buon responso di pubblico.
La nota dolente riguarda senza dubbio l'ennesima ondata di chiusure dei locali, un fenomeno in continua espansione che non sembra volersi fermare.
 Vien da sé che la totale mancanza di spazi si pone in dicotomia con il numero e la produttività delle band in circolazione. I Festival sono una risorsa importante, ma non possono rappresentare l'unica risposta alle crescenti necessità di esibirsi per le varie formazioni musicali. C'è da capire se il problema sia burocratico/organizzativo (permessi, siae, orari, inquinamento acustico) o più semplicemente economico (un deejay costa meno e tira più gente). 
In ogni caso c'è bisogno di confrontarsi e prendere qualche decisione importante. 
E bisogna farlo adesso.


mercoledì 5 ottobre 2011

WIKIPEDIA E IL DIRITTO DI RETTIFICA


Quante volte questa mattina ogni navigatore medio ha cercato informazioni veloci su Wikipedia imbattendosi nel comunicato firmato dagli utenti che annunciava la momentanea sospensione del servizio?
In questi anni l'enciclopedia libera più diffusa e cliccata del pianeta è entrata di prepotenza nella cultura popolare, nel modus operandi di studenti e ricercatori, nelle abitudini quotidiane di migliaia di persone.
Ha rivoluzionato il mondo dell'informazione, introducendo una sorta di canale mediatico orizzontale e democratico, ha accorciato e snellito i tempi di ricerca.
Ora gli utenti si auto-censurano in polemica aperta con il disegno di legge sulle “norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali”, e in particolare sull'ormai famoso comma 29 che recita “per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono”.
Gli utenti lamentano una inaccettabile limitazione della propria libertà e indipendenza. Una limitazione che snatura i principi alla base dell'Enciclopedia libera e ne paralizza la modalità orizzontale di accesso e contributo, ponendo di fatto fine alla sua esistenza come l'abbiamo conosciuta fino a oggi.
Fermo restando che, a mio modo di vedere, l'azione di questo governo limita sistematicamente la libera informazione mediante, ad esempio, il monopolio e il controllo dei principali mezzi d'informazione (soprattutto televisivi),l'allontanamento (per usare un eufemismo) di giornalisti scomodi e programmi non graditi, le leggi ad personam e le nomine quanto meno discutibili all'interno dei cda del servizio pubblico (tanto per fare qualche esempio), vorrei entrare nel merito di questo attacco rivolto non ad una nuova legge (è bene ricordarlo), ma ad una serie di modifiche che dovranno essere approvate in parlamento.
Nella fattispecie, il testo firmato dal ministro Alfano tratta le “modifiche della disciplina in materia di astensione del giudice e degli atti di indagine” e l'”integrazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche”.
Fiumi di inchiostro si potrebbero versare sulle limitazioni imposte ai giornalisti che si vedono le mani legate (rischiando pure il carcere) per la trascrizione e pubblicazione delle intercettazioni.
Tutti d'accordo? Certo. Ma siete d'accordo anche con il fatto che il legislatore debba in qualche modo mettere un freno al costume riprovevole di pubblicare migliaia di intercettazioni che coinvolgono la vita privata di persone estranee a qualsiasi tipo di indagine?
Apriamo il dibattito, prima di scagliare la prima pietra.
Ma torniamo al tanto contestato comma 29.
Nella legge approvata nel 2010 si leggeva “per le trasmissioni radiofoniche o televisive,
le dichiarazioni o le rettifiche sono effettuate ai sensi dell’articolo 32 del testo unico della radiotelevisione, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177. Per i siti informatici, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono”.
La nuova formula proposta da Alfano introduce alcune integrazioni: “per le trasmissioni radiofoniche o televisive, le dichiarazioni o le rettifiche sono effettuate ai sensi dell’articolo 32 del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177. Per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono”.
Sinceramente l'integrazione che recitaivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica” non mi sembra scandalosa, e non ritengo sposti di un granchè la posizione di Wikipedia e degli altri siti informatici (compresi quotidiani e periodici).
Se l'accusa dei firmatari dello sciopero è davvero rivolta all'obbligo per tutti i siti web di pubblicare, entro 48 ore dalla richiesta e senza alcun commento, una rettifica su qualsiasi contenuto che il richiedente giudichi lesivo della propria immagine, perchè questo sciopero (mi si passi il termine) non è stato indetto nel 2009 quando la camera approvò il testo o nel 2010 quando venne modificato?
Wikipedia ha il pregio di essere libera, ma forse il difetto di non tener conto delle norme e della deontologia che ogni giornalista deve rispettare.
La rettifica è un diritto sacrosanto e un dovere per l'editore (in questo caso per gli utenti che gestiscono il sito, non esistendo una redazione).
A me sembra che queste polemiche facciano parte più di un attacco poltico che di una difesa a spada tratta della libertà d'informazione.
Wikipedia sostiene che in base al comma 29, chiunque si sentirà offeso da un contenuto presente su un blog, su una testata giornalistica on-line e, molto probabilmente, anche qui su Wikipedia, potrà arrogarsi il diritto — indipendentemente dalla veridicità delle informazioni ritenute offensive — di chiedere l'introduzione di una "rettifica", volta a contraddire e smentire detti contenuti, anche a dispetto delle fonti presenti.
Questo non è affatto vero! E' vero invece che esiste la facoltà, da parte dei soggetti di cui siano state diffuse immagini o ai quali siano stati attribuiti atti, pensieri, affermazioni, dichiarazioni contrari a verità da parte di una radio o una televizione di richiedere all’emittente, privata o pubblica, la diffusione di proprie dichiarazioni di replica, in condizioni paritarie rispetto all’affermazione che vi ha dato causa.
Si chiama diritto di rettifica. E da più di un anno la norma che ne regolamenta il rispetto è vigente pure nel settore dell'informazione online, anche se nessuno se n'era accorto!
Sinceramente mi fa più paura la prepotenza con cui si trascina le gente in tribunale, piuttosto che l'estensione del diritto di rettifica al mondo del web che è diventato, ormai, il più diffuso ma anche incontrollato organo di informazione del mondo.
Se vogliamo scendere in piazza per mandare a casa questo governo, sono già in prima fila.
Ma cerchiamo di portare qualche buona argomentazione pescando a caso nell'oceano di atrocità e schifezze che mister B. quotidianamente ci regala.
La demagogia, invece, lasciamola a casa.

lunedì 3 ottobre 2011

FUSIONI A FREDDO E UNIONI DI FATTO

Mentre i quotidiani locali riportano sistematicamente articoli, dichiarazioni, interviste sui movimenti dei piccoli comuni verso progetti di “unione” e “fusione”, da Trento trapelano notizie sempre più allarmanti per gli amministratori di quei centri che contano tra i 1000 e i 3000 abitanti.
Il contributo al “patto di stabilità” diventerà sempre più pesante e la scure si abbatterà anche sui municipi che, fino a oggi, erano stati “esentati” e che in Trentino rappresentano la maggior parte dei campanili.
La sensazione è che la concomitanza di questi eventi (le gestioni associate che diventano argomento di stretta attualità e la minaccia di una mano pesante che andrà a gravare sempre più sui “piccoli”) faccia parte di un preciso disegno politico tracciato da Regione e Provincia per “tagliare” la maggior parte delle municipalità e accorpare più paesi in comuni più grandi e strutturati. Idea nobile e innovativa (per certi versi progressista), soprattutto se il principale obiettivo è quello di ridurre la spesa pubblica e ottimizzare i costi della macchina amministrativa.
La domanda è se i tempi siano davvero maturi per una simile riforma istituzionale e se la decisione debba essere per forza “calata dall'alto” (non direttamente, per carità, ma basta dare un'occhiata alla scorsa finanziaria provinciale per cogliere un implicito invito ad unirsi per non tirare le cuoia).
Chiunque abbia un minimo di familiarità con un bilancio comunale sa quanto stia diventando difficile far quadrare i conti. E senza che gli amministratori si inventino particolari voci di “politica creativa”. La gestione ordinaria si divora gran parte delle risorse a disposizione degli amministratori. Stipendi, gestione degli uffici, manutenzioni, riscaldamento, elettricità e via dicendo. Queste sono le spese tutt'altro che discrezionali che gravano sulla quasi totalità della parte corrente di bilancio. A scapito di cosa? Ma delle uniche voci che possono essere tagliate, ovviamente. Attività culturali, promozione turistica, contributi per le associazioni. Si può tranquillamente fare a meno di una mostra a rtistica, ma non si può certo lasciare un edificio con i termosifoni ghiacciati. E poi, le associazioni saranno ben liete di stringere i denti, sapendo che questo sacrificio servirà per pagare gli stipendi ai dipendenti comunali.
Ma tagliare su cultura e associazionismo significa bloccare la crescita culturale di una comunità e soffocare quella risorsa inestimabile chiamata volontariato attivo, una ricchezza che ha sempre rappresentato il valore aggiunto delle piccole comunità montane.
Nei territori che vantano un prestigioso patrimonio storico, una tradizione popolare radicata sul territorio e una fitta rete di realtà associative fondate sulla partecipazione attiva dei cittadini, il settore culturale costituisce una fondamentale occasione di crescita per la comunità, uno stimolo al benessere e una prospettiva di sviluppo per il futuro.
La riscoperta della nostra storia e di una memoria collettiva condivisa si legano ad una prospettiva di valorizzazione della cultura locale e di sostegno delle nuove forme di espressività artistica. Investire sullo sviluppo culturale del territorio e dei cittadini significa fare tesoro di quel bagaglio culturale che affonda le radici nel nostro passato per affrontare le sfide e cogliere le opportunità di un futuro da affidare alle nuove generazioni.
Un progetto culturale a lungo termine dovrebbe sempre partire dall'interazione tra amministrazione e cittadini, guardando con interesse alle prospettive di collaborazioni sovracomunali e occupandosi nel contempo di questioni pragmatiche di sostegno alle realtà associative locali.
Promuovere la cultura, la conoscenza e la creatività degli individui quale risorsa fondamentale per il nostro futuro, valorizzare il patrimonio storico e sostenere il potenziale creativo della comunità dovrebbe essere condizione essenziale e imprescindibile per il nostro sviluppo, la nostra crescita culturale e il nostro futuro.
Le associazioni sono l'autentico cuore pulsante della comunità. E per evitarne l'atrofizzazione bisognerebbe poter garantire un adeguato sostegno a tutte le realtà associative, valorizzando il volontariato quale preziosa risorsa per il paese. Se la risorsa economica non permette finanziamenti a pioggia si può sempre cercare di pianificare una concertazione delle attività culturali e sociali da realizzare sul territorio coinvolgendo scuole, associazioni, gruppi, cittadini e società civile in un'ottica di collaborazione attiva. Anche senza un portafoglio strabordante si può sostenere la creazione e la produzione della cultura, sia quella tradizionale e popolare, sia le nuove forme di espressività artistica e promuovere e sostenere attività e iniziative musicali, corali, bandistiche, artistiche, teatrali, folcloristiche e culturali, anche tramite l'ampliamento o la creazione di luoghi e momenti di elaborazione artistica e di accesso alla cultura da parte di tutti i cittadini.
Altro settore fondamentale dovrebbe essere quello relativo ai giovani e alle politiche giovanili. Nel rapportarsi all'universo giovanile e alle dinamiche ad esso legate bidogna partire dalla consapevolezza che ragazze e ragazzi non sono soltanto destinatari o fruitori delle azioni degli adulti, ma soggetti portatori di diritti, fra cui quello di essere promotori attivi, partecipi e protagonisti delle iniziative loro mirate. Noi amministratori dobbiamo porci come interlocutori attenti, considerando l'essere giovani una risorsa positiva con cui rapportarsi in un'ottica di confronto, ragionando sui temi dell'interazione e integrazione di una comunità giovanile che partecipa attivamente a determinare la costruzione e la crescita della comunità. Le amministrazioni comunali della quasi totalità dei paesi trentini possono contare sullo strumento del Piano Giovani di Zona, un’importante iniziativa rivolta ai giovani promossa dai comuni in collaborazione con l’assessorato all’Istruzione ed alle Politiche Giovanili della PAT. In questi primi anni di attività sono state attivate azioni a favore del mondo giovanile, preadolescenti, adolescenti e giovani. Finchè le risorse economiche lo consentiranno, gli amministratori potranno continuare a puntare sul Piano Giovani quale strumento efficace per creare sinergie fra i giovani, le associazioni e le istituzioni, promuovere opportunità di conoscenza e di scambio, stimolare e dare corpo al bisogno di fare “comunità”, valorizzare le potenzialità dei giovani, creare una rete di risorse individuali e di associazioni impegnate a promuovere la nascita di una cittadinanza attiva, incentivare la sensibilizzazione del mondo degli adulti che si rapporta con quello dei giovani. In collaborazione con gli enti e le realtà associative locali sono state ideate e organizzate in questi anni iniziative che vedono protagonisti i giovani nel campo dell’arte, della creatività e della manualità, sostenendo attività in ambito musicale, artistico, culturale e sociale. In una logica di partecipazione attiva, i progetti che vengono realizzati vedono i ragazzi essere promotori e protagonisti nelle fasi di ideazione, gestione e realizzazione. Tra le principali problematiche persiste quella legata alla mancanza di spazi e momenti di aggregazione giovanile. Mancano luoghi e spazi di incontro dove potersi confrontare per trovare significati comuni, scambiare idee, dove giovani e adulti possano insieme creare cultura e trovare significati condivisi, in un'ottica di progettualità comune.
Come amministratori che guardano al futuro con responsabilità e speranza dobbiamo imporci di fornire risposte concrete alla necessità di spazi e momenti di aggregazione per i giovani, intesi sia come spazi fisici, sia come iniziative e progetti di socializzazione e aggregazione giovanile che hanno anche la funzione di luoghi di esercizio della democrazia, laboratori di partecipazione che permettano di conoscere e vivere l’educazione civica e civile. E' nostro compito sensibilizzare i giovani alla partecipazione alla vita sociale, all'appartenenza al proprio territorio e all'assunzione di ruoli di responsabilità. Inoltre è nostro dovere intercettare anche le “domande mute” dei giovani, quelle che evidenziano sofferenza, fragilità, noia o tentativi di rifugio in mondi virtuali. Agire sulla prevenzione significa promuovere la conoscenza ma anche creare occasioni sane di socialità e opportunità di confronto. In un mondo in continua trasformazione rimane basilare costruire delle solide alleanze con le altre agenzie educative (scuola, famiglia, ...) in modo da creare una “rete” di relazioni, condivisione di valori, obiettivi ed azioni, pensate in collaborazione, che rinforzino reciprocamente il lavoro della famiglia e quello esterno. Il riferimento va innanzitutto alla rete delle realtà amministrative e associazionistiche del territorio, stimolate a individuare un terreno comune di intesa e di impegno per e con i giovani. Vi sarà inoltre, da parte nostra, un impegno concreto per rimuovere quegli ostacoli che non permettono alle giovani generazioni di essere protagoniste della costruzione del proprio futuro, appropriandosi di quegli spazi che spesso sono invece negati o non riconosciuti.
Parlando di “fusioni” e “unioni” di comuni ci si scontra spesso con le resistenze campanilistiche di sindaci e “conservatori”, mentre basterebbe dare un'occhiata alla comunità giovanile che vive il proprio territorio per rendersi conto che la “fusione di fatto” è già avvenuta. La sovracomunalità esiste già nel mondo delle associazioni giovanili, nelle alleanze tra universi artistici e musicali emergenti, nello spirito di gruppo che ormai non conosce più limiti territoriali. Il cambimento sta avvenendo lontano da logiche di palazzo e progetti politici calati dall'alto, e corrisponde all'avanzare di una nuova generazione che non ci sta più a vivere nell'ombra...